Nel presente distopico di Domino, metafora teatrale del presente, non ci sono buoni e cattivi: i personaggi si muovono come pedine di un gioco crudele, freddi ingranaggi e funzioni di un sistema perverso che sembra non lasciare scampo. Cuore del gioco è un misterioso meccanismo di selezione al quale sono sottoposti i quattro protagonisti, sorvegliati e condotti attraverso le varie fasi del processo da tre guardie dal sorriso perenne e inquietante. Sulla scena si staglia un parallelepipedo metallico, un cubo misterioso e criptico, allegoria di un potere sempre più difficile da identificare e quindi sovvertire, che scandisce le fasi della selezione.
Traendo ispirazione da romanzi quali 1984 di Orwell, Il mondo nuovo di Huxley, Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, Domino porta l’attenzione - tramite un linguaggio multidisciplinare che va dalla danza, all’uso delle proiezioni, al teatro e alla musica - sulla progressiva diminuzione di beni primari, sulla concreta, lenta e graduale perdita della libertà di pensiero, sull’innalzarsi di nuovi muri e frontiere anche sociali, sulla poesia come strumento di salvezza, sul bisogno di credere in qualcosa o qualcuno. Sulla rivolta come atto necessario.
Domino è uno spettacolo classico, nel senso di antico. Un rituale di incontro/scontro con questioni che troppo spesso la nostra società si rifiuta di indagare ed affrontare.
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