"La Vita Nuova" di Romeo Castellucci

Teatro

Si respira il senso di un inizio, qui, in un grande parcheggio di auto, dove si sono dati convegno un gruppo di uomini. Sono fratelli e intendono inaugurare un modo nuovo e migliore di stare insieme. Migliore, rispetto a che? Al mondo da cui si sono separati, all’attività alienata, al lavoro stipendiato, alla politica e all’arte. Non credono più a queste forme della vita sociale.
Nel garage c’è la pace della polvere, anzi c’è l’acuta malinconia dei teli copri-polvere che rivestono le numerose auto lasciate in deposito. Gli stridii degli pneumatici e gli echi delle lamiere sembrano gettare squarci di luce sulla potenzialità dei motori tenuti a riposo. Come belve in gabbia, queste auto sono le cellule del nuovo seme che i fratelli intendono seppellire. Nulla di fantasmagorico essi hanno nelle mani: non colori, non profumi, non meraviglie dei sensi. Nulla, o meglio, essi hanno questo desolato parcheggio di macchine inerti.
Da qui si comincia, da qui si parte. Uno di loro sente più degli altri la responsabilità di annunciare. Non basta parlare, occorre parlare del futuro. Che deve succedere? Come dobbiamo comportarci perché questo succeda? Lui e i suoi fratelli sono i profeti di una nuova vita, nata semplicemente dalla loro attuale condizione umana, che trattiene, sì, qualche modo tipico delle religioni ancestrali, ma che ha espressamente bisogno di inventare altre forme e ornamenti, a partire dalla povertà della realtà. La realtà è un deserto pervertito, la cui indifferenza è data dalla compresenza sincronica di tutte le forme, dalla indistinzione e dalla somiglianza universale, cui, per ultima, è caduta anche l’arte. Anche i colori sono complici del misfatto, perciò i profeti sono rivestiti di bianco. La loro rivolta consiste nel prendere la parola e nell’inventare nuovi attrezzi per la vita quotidiana, in qualsiasi contesto essi si troveranno a esistere. Non è più il tempo di ritornare alla base; di ricercare le radici degli antenati; di ritrovare l’Eden. Questi luoghi non esistono più, perciò occorre reinventarli realisticamente con ciò che si ha a disposizione, cioè, qui e ora, il parcheggio con le auto e la polvere. I fratelli si ribellano alla dittatura delle percezioni e delle abitudini, alla saturazione delle esperienze, allo specchio opaco dei giorni, all’asfissia, alla perdita dei sensi. I profeti non inseguono né il nulla né il pieno: essi confermano l’ora e il qui.
Da qui deve sorgere la nuova vita dei senza-terra, e dei costruttori di nuovi focolari domestici ed estetici. L’estetica domestica è la dimensione concreta della vita quotidiana che alimenta e spiega tutti i sensi. Questi fratelli odiano gli artisti, perché dicono e non fanno. Soprattutto le loro opere: dicono e non fanno. Secondo i profeti gli artisti praticano l’arte della somiglianza totale, anche se predicano il contrario. I profeti oppongono l’arte del vivere al vivere con l’arte. Essi stanno fermi ad ascoltare la crescita biologica, piuttosto che fare la fila alle grandi mostre.
Qui, in questo grigio parcheggio europeo, americano, cinese, russo, australiano, africano, latinoamericano, avvengono trasmutazioni degli oggetti e trasvalutazioni di tutti i valori dell’arte e dell’umanità.

Bisogna che d’ora innanzi l’arte si tenga fuori dall’uso (…) deve dominare la grande tecnica, il “lusso” per tutti, il lusso democratico e ingegnoso che allevia la fatica e dà refrigerio, una ricostruzione della stella Terra che miri a eliminare la povertà, a trasferire la fatica sulle macchine, a rendere automatico e centralizzato l’inessenziale e perciò a rendere possibile l’ozio; e deve dominare la grande espressione che di nuovo diriga l’ornamento in profondità e conceda alla pena interiore, che risuona nel silenzio della preoccupazione esterna, i chiari segni della comprensione, i puri ornamenti della soluzione. (…)
L’architettura come lo spazio interno della terra natia, uno spazio architettonico che occorre creare oggi per la prima volta, e che diventa sempre di nuovo simile all’uomo, in quanto espressione anticipatrice di un tat twam asi [in sanscrito], di un qui sei tu. Come incontro con il sé negli oggetti dipinti. Tu sei questo, cioè “nella tua essenza intima, sei identico all’invisibile sostanza di ogni cosa”, formula attribuita al bramino Aruni. (
Ernst Bloch, Spirito dell’utopia, 1923)
dal 31/07/2019 al 02/08/2019
La vita nuova
di Romeo Castellucci

Ideazione e regia: Romeo Castellucci
Testo: Claudia Castellucci
Musica: Scott Gibbons

Con: Sedrick Amisi Matala, Abdoulay Djire, Siegfried Eyidi Dikongo, Pape Mamadou Gning, Olivier Kalambayi Mutshita

Assistente alla regia: Filippo Ferraresi
Sculture di scena ed automazioni: Istvan Zimmermann e Giovanna Amoroso - Plastikart studio
Realizzazione costumi: Grazia Bagnaresi
Ricerca attori: Unusual Casting

Direzione tecnica: Paola Villani
Tecnico del palco: Andrei Benchea
Tecnico della luce: Andrea Sanson
Tecnico del suono: Nicola Ratti
Equipe tecnica in sede: Eugenio Resta, con Carmen Castellucci e Daniele Magnani

Responsabili di produzione: Benedetta Briglia e Giulia Colla
Assistente alla produzione: Caterina Soranzo
Promozione e distribuzione: Gilda Biasini
Amministrazione: Michela Medri, Elisa Bruno, Simona Barducci
Consulenza amministrativa: Massimiliano Coli
Fotografo di scena: Stefan Glagla
Riprese video: Luca Mattei

Debutto: 28 novembre 2018
a KANAL – Centre Pompidou, Quai des Péniches – Bruxelles

Produzione esecutiva: Societas
In coproduzione con: Bozar, Center For Fine Arts (Brussel), Kanal - Centre Pompidou (Brussel), La Villette (Paris)
L’attività di Societas è sostenuta da: Ministero dei beni e attività culturali, Regione Emilia-Romagna e Comune di Cesena
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repliche:
31 luglio ore 22,00 / 1 agosto ore 21,30 e ore 23,00 / 2 agosto ore 21,30
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Societas
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