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Legislatura XI - Atto ispettivo ogg. n. 6625

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Oggetto:
Testo presentato:
6625 - Interpellanza per sapere a quali esiti sia pervenuto il Gruppo di lavoro regionale sui fanghi di depurazione delle acque reflue, con particolare riguardo agli interventi necessari a livello regionale per impedire l'accumulo di sostanze inquinanti sui terreni destinati all'agricoltura. A firma della Consigliera: Gibertoni

Testo:

Interpellanza

 

Visti

 

        il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, recante “Attuazione della direttiva n. 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura” così come modificato e integrato, in particolare, dall’articolo 41 della legge 16 novembre 2018, n. 130 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, recante disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze”, contenente disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione;

        la delibera di Giunta regionale dell’Emilia-Romagna n. 326, del 4 marzo 2019, recante “Disposizioni urgenti in materia di utilizzo agronomico dei fanghi di depurazione;

        la delibera di Giunta regionale dell’Emilia-Romagna n. 1812, del 7 dicembre 2020, “Disposizione in materia di fanghi di depurazione di acque reflue”;

        la determinazione del Direttore Generale “Cura del territorio e dell’ambiente” della Regione Emilia-Romagna n. 4148, del 10 marzo 2021, recante “Istituzione gruppo di lavoro fanghi di depurazione acque reflue” in adempimento al disposto della deliberazione n.1812/2020 che prevedeva, tra l’altro, di “istituire con determina dirigenziale, entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente provvedimento, il gruppo di lavoro composto dai principali portatori di interesse per riesaminare ed aggiornare le disposizioni regionali in materia di utilizzo agronomico dei fanghi di depurazione”;

 

premesso che

 

        è di poche settimane fa la notizia secondo cui il Ministero della Salute ha emanato un richiamo per il riso lungo B, venduto in una catena della GDO italiana, lavorato e  coltivato in Italia per il rischio Cadmio (sostanza cancerogena del gruppo 1, cioè tra i carcinogeni umani certi) che secondo alcuni, deriverebbe dalla siccità e dal conseguente stress idrico che potrebbero influire sull’assorbimento del Cadmio da parte della pianta e, secondo altri, deriverebbe dalla circostanza che il prezzo molto alto dei fertilizzanti avrebbe indotto molti agricoltori a utilizzare fanghi derivanti da impianti di trattamento dei reflui che potrebbero presentare un contenuto di metalli pesanti fuori norma;

        un modo per aggirare i controlli nell’uso dei fanghi provenienti dagli impianti di depurazione delle acque reflue è quello di trasformarli in gessi di defecazione che, sostanzialmente, riescono a circolare liberamente sul territorio nazionale e ad essere utilizzati come fertilizzanti in agricoltura (in Emilia-Romagna più del 90% dei fanghi verrebbe trasformato in gessi di defecazione utilizzati in agricoltura);

        è dello scorso anno la notizia che le Procure di Brescia, Lodi e Pavia avevano scoperto centinaia di migliaia di tonnellate di fanghi provenienti dagli impianti di trattamento dei reflui e gessi di defecazione fuori norma e inquinati da sostanze tossiche (con concentrazioni elevate di idrocarburi pesanti, di toluene e di fenoli) che sono state sversate sui terreni agricoli del nord Italia, in quattro regioni, 12 province e più di 70 comuni diversi, (in Emilia-Romagna sarebbe stata interessata la provincia di Piacenza) arrivando a sversare fino a 70 tonnellate per ogni ettaro di terreno agricolo (i gessi venivano offerti gratuitamente agli agricoltori);

        anni fa nel reggiano a Fabrico (RE) erano stati sequestrati due capannoni con quindicimila tonnellate di gessi di defecazione risultati inquinati con concentrazioni altissime di fenoli, in particolare, metilfenoli, gessi questi provenienti da uno stabilimento del bresciano che, prima del sequestro disposto dalla Procura di Reggio Emilia erano finiti nei campi della Bassa reggiana;

        un’altra problematica, legata all’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura, è che questi possono essere una delle fonti da cui deriva la presenza sempre più massiccia di microplastiche nei terreni agricoli, infatti, secondo lo studio “Microplastics removal from a primary settler tank in a wastewater treatment plant and estimations of contamination onto European agricultural land via sewage sludge recycling”, pubblicato su Environmental Pollution da un team di ricercatori della università di Cardiff e di Manchester, “I terreni agricoli in tutta Europa sono potenzialmente il più grande serbatoio globale di microplastiche a causa delle alte concentrazioni presenti nei fertilizzanti derivati dai fanghi di depurazione”;

        la suddetta deliberazione n. 326/2019 aveva stabilito in tre anni dall’entrata in vigore della stessa il termine entro il quale riesaminare le disposizioni in materia di utilizzo agronomico dei fanghi di depurazione;

        la suddetta determinazione del Direttore Generale “Cura del territorio e dell’ambiente” della Regione Emilia-Romagna n. 4148/2021 istitutiva del Gruppo di lavoro fanghi di depurazione acque reflue stabiliva, tra l’altro, che il Gruppo di lavoro concludesse la sua attività entro un anno, con possibilità di rinnovo della durata, da approvarsi con apposito successivo atto, che ad oggi non risulta;

        l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura dovrebbe configurarsi come una operazione non di smaltimento di rifiuti, ma di recupero ambientale, la quale richiederebbe il massimo della cautela visto che riguarda, in definitiva, l’alimentazione umana e che non solo non dovrebbe provocare alcun pericolo per l’ambiente ma, anzi al contrario, dovrebbe apportare un concreto beneficio al suolo laddove si applica;

        l’art. 41 del c.d. Decreto Genova ha aumentato, e di gran lunga, l’inquinamento dei suoli che risulta ampiamente peggiore in quanto, oltre agli idrocarburi, vengono, in sostanza, ammessi nuovi inquinanti, non previsti dal D.Lgs. 99/92, in misura superiore ai limiti stabiliti per il recupero ambientale dal D.Lgs. 152/06, infatti, basterebbe ricordare che per Cromo totale, Diossine, PCB, Selenio, Toluene i limiti indicati dall’art. 41 del Decreto Genova sono superiori ai quelli indicati per la bonifica dei suoli per uso residenziale, per Diossine e Furani la concentrazione consentita nei fanghi è 25 ng/kg s.s. (sostanza secca) mentre nei suoli è 10 ng/kg s.s., per i PCB è 0.8 mg/kg s.s., quando sono soggetti a bonifica i suoli con 0,06 mg/Kg s.s. ed addirittura per il Toluene il limite è 100 mg/kg s.s., quando per i suoli uso residenziale è 0,5 mg/kg e per quelli industriali 50 mg/kg ss, inoltre, Arsenico, Berillio, Cromo VI, Diossine PCB sono classificati dalla IARC a livello I (cioè cancerogeni umani) e per quanto riguarda gli idrocarburi C10-C40 nell’art 41 il limite è di 1000 mg/kg su “tal quale” e non su “sostanza secca”, ciò significa che se i fanghi hanno elevate percentuali di acqua si potranno raggiungere anche i 10.000 mg/kg s.s. cioè valori altissimi;

 

considerato che

 

        la disposizione relativa all’impiego dei fanghi in agricoltura, introdotta con l’art. 41 del decreto-legge per il disastro di Genova, aveva il solo fine di risolvere la c.d. “emergenza fanghi”, recependo, per gli idrocarburi, il limite di 1000 mg/kg “tal quale”, già approvato pochi mesi prima dalla Conferenza Stato-Regioni, che aumentava di 20 volte il limite (50 mg/kg) indicato da Cassazione e Tar Lombardia e, in realtà, l’aumento è molto superiore in quanto la rilevazione sul “tal quale” (e non sulla “sostanza secca”) prevista dall’art. 41, data la dipendenza dalla quantità di acqua presente nel fango, porta il limite di 1000 ad una moltiplicazione minima per 5; ma che, a seconda della quantità di acqua, può anche raddoppiare, fino ad arrivare alla moltiplicazione per un fattore 10; con il rischio concreto di ritornare al limite di 10.000 mg/kg sulla “sostanza secca” voluto allora dalla Regione Lombardia e poi respinto dal Tar Lombardia;

        con il famigerato art. 41 suddetto si sono ampliati, oltre che per gli idrocarburi, anche i limiti per altre sostanze pericolose e potenzialmente cancerogene, quali diossine, furani, PCB, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), toluene, selenio, berillio, arsenico, cromo, tutte sostanze di origine tipicamente industriale e che, in fanghi di depurazione assimilabili a quelli “civili”, dovrebbero essere assenti o, comunque, in quantità infinitesimali;

        con l’approccio utilizzato nell’art. 41 del Decreto n. 109/2018 non si opera alcuna valutazione del rischio tale da consentire di escludere qualsiasi problematica per la salute umana, per l’ambiente, per la biodiversità, per le acque e, soprattutto, per la catena alimentare, infatti, non sono stati valutati per le sostanze indicate in tale articolo fenomeni quali la “biodisponibilita”, il “bioaccumulo” e la “bioconcentrazione” che meglio consentono di capire come sorgano problemi per la salvaguardia dell’ambiente o per la difesa della salute, inoltre anche il “destino ambientale” di questi inquinanti, ovvero come una volta immessi nell’ambiente si distribuiscano nelle diverse matrici ambientali (suolo, sedimenti, acque) non è stato valutato nel medio e lungo termine e tutto ciò in evidente contrasto con quanto stabilito dall’art. 3 del D.Lgs. n. 99/1992 e tanto più quando si tratta di “inquinanti organici persistenti” che la convenzione di Stoccolma vorrebbe eliminare o limitare al massimo per il loro potenziale pericolo;

        siamo nella situazione assurda per cui l’art. 41 consente di utilizzare, per fertilizzare i suoli agricoli da cui ricaviamo alimenti, un fango che contiene ben più di 500 mg/kg di olio minerale C10-C40, cioè un fango, che non potrebbe neppure essere smaltito in una discarica per inerti, ma solo in una discarica per rifiuti industriali;

        come se non bastasse oltre al problema dello spandimento dei fanghi provenienti dei reflui degli impianti di depurazione, nelle regioni del nord del Paese, come la nostra, dove il numero degli animali allevati in modo intensivo supera di gran lunga quello dei cittadini, bisogna fare i conti con lo spandimento di enormi quantità di reflui zootecnici nei campi agricoli che non solo inquinano le acque ma rendono l’aria irrespirabile e pericolosa poiché l’ammoniaca, presente in questi fanghi, contribuisce alla formazione del particolato sottile che trasforma la nostra pianura padana in una camera a gas per i residenti, con gravissime ripercussioni sulla salute delle persone.

 

Interpella la Giunta regionale per sapere:

 

        a quali esiti sia pervenuto il Gruppo di lavoro regionale sui fanghi di depurazione delle acque reflue, istituito con la determinazione n. 4148, del 10 marzo 2021, e se non ritenga indispensabile, per tutelare la salute dei cittadini emiliano-romagnoli, agire a livello regionale, laddove possibile, ed operare, in ogni sede idonea, per ritornare indietro rispetto alla decisione introdotta con l’art. 41 del c.d. decreto “Genova” con cui si autorizzava ad accumulare sui terreni destinati all’agricoltura diossine, Pcb e altri microinquinanti altamente tossici, per cui l’unico limite accettabile sarebbe l’essere al di sotto della soglia di rilevabilità in laboratorio, trasformando nel tempo quei terreni in aree da sottoporre in futuro a bonifiche ambientali e contaminando le matrici ambientali e la stessa catena alimentare.

 

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